Parafrasi del Canto Secolare, composto dal poeta latino Quintus Horatius Flaccus, cantato nel 17 a. C. a Roma, in occasione dei giochi secolari.

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Fra i canti poetici più belli, alti e solenni della poesia latina c’è, senza dubbio, l’inno religioso composto dal poeta latino Quinto Orazio Flacco (65 a.C. – 8 a.C.). Il carme fu scritto nel 17 a.C. in occasione dei Giochi Secolari svoltisi a Roma nel campo Marzio presso il fiume Tevere, e cantato il 3 giugno sul colle Palatino. I giochi secolari furono voluti da Cesare Ottaviano Augusto per inaugurare l’inizio della nuova èra di pace e di prosperità voluta e desiderata dal popolo romano. I giochi durarono dalla notte del 31 maggio al 3 giugno del 17 a.C., nei quali si alternarono giochi equestri e riti religiosi. I giochi secolari, che erano stati annunziati dal libro Sibillino, erano molto sentiti nel popolo romano e nella corte augustea. Cesare Ottaviano ordinò la scrittura del testo al poeta di corte Quinto Orazio Flacco che fu ben lieto di redigerlo per compiacere Ottaviano e il suo amico Mecenate. Lo stesso Augusto officiò insieme al suo amico Agrippa i riti e i sacrifici agli dei Diana e Apollo. Io, Biagio Carrubba, presento la mia modesta parafrasi e la mia interpretazione dell’Inno religioso per testimoniare il mio omaggio al grande poeta latino ed esprimere la mia emozione di fronte a un così grande capolavoro poetico e lirico. Senza dubbio il Carme Secolare esprime in modo essenziale lo spirito del tempo (lo Zeitgeist), ma ricco di immagini religiose adeguate al politeismo del suo tempo. Orazio riesce ad esprimere e a sintetizzare lo Zeitgeist della cultura pagana e il Carme secolare rappresenta la perfezione stilistica e formale della poesia lirica latina.
Io, Biagio Carrubba, propongo e suggerisco alla RAI che ha i mezzi organizzativi, finanziari, culturali e mediatici di realizzare un programma dedicato specificatamente alla rappresentazione musicale e cantata del Carme Secolare, cantato o in latino o in italiano. Come sappiamo dai testi, il Carme fu cantato e recitato da un coro composto da 27 fanciulli e da 27 fanciulle, i quali celebrarono, con il loro canto, le lodi di Febo e Diana, ma augura anche una prosperità e longevità al popolo romano. Mi farebbe piacere ascoltarlo con delle belle immagini su RAI 5 come se lo ascoltassimo in diretta dalla storia, 2033 anni fa. Sarebbe una cosa straordinaria, un vero miracolo e sicuramente sarebbe molto gradito a tutti agli appassionati della grande letteratura latina; un evento inedito e stupefacente, uno spettacolo capace di regalarci forti commozioni a noi contemporanei.

Parafrasi del Carme Secolare.

Febo, e tu Diana nume delle selve,
astri luminosi del cielo, venerandi
e sempre venerati, concedete ciò che invochiamo
in questo tempo sacro,

per il quale i versi Sibillini prescrissero
che scelte vergini e casti fanciulli
agli Dèi, a cui piacquero i sette colli,
cantassero il canto.

Oh almo Sole, che con il tuo carro nitido
mostri e nascondi il giorno e nasci uguale
e sempre diverso, possa tu nulla di Roma
vedere mai di più grande.

E tu che, nel tempo maturo favorisci i parti,
oh Ilizia, proteggi le madri,
sia che ti piace farti chiamare Lucina,
o Genitrice,

oh Dea, fai crescere la prole, dài prosperità
ai decreti sulle nozze delle donne
e sii feconda di nuova prole
con la legge coniugale,

cosicché al ritorno dei 110 anni
i canti e i ludi ritornino
per tre giorni splendidi e per altrettante
notti affollate.

E voi, oh Parche veraci, pronunziaste
che ciò, che fu detto e stabilito, una volta per sempre,
sarà confermato dai fatti,
aggiungete, ora, altri buoni Fati.

La terra, fertile di biade e di bestiame,
offra a Cerere una corona di spighe;
le acque salubri e i venti di Giove
nutrano i prodotti della terra.

Deposto il telo, mite e placido,
oh Apollo, ascolta i fanciulli supplici;
e tu, Luna, bicorne regina degli astri,
ascolta le fanciulle

La villa sabina presso il fiume Vicenza dove Orazio visse appartato gran parte della sua vita.

I resti della Villa Sabina presso il fiume Licenza (Roma) dove Orazio visse appartato gran parte della sua vita.

 

Se Roma è opera vostra, oh Déi,
se la schiera dei Troiani occupò i lidi Etruschi,
(almeno) quella parte che mutò i Lari e la città
con lieto corso,

alla quale attraverso l’incendio di Troia
il casto Enea, superstite alla patria, senza frode,
aprì una via di fuga per darle
più di quanto aveva lasciato.

(Se tutto ciò è vero, perché è stato voluto da voi Dèi), allora
oh Dèi, concedete buoni costumi ai giovani ubbidienti,
oh Dèi, concedete una placida quiete ai vecchi,
e concedete alla gente romana beni, prole
e ogni gloria.

E lui, che vi immola i suoi candidi buoi,
l’inclito sangue di Anchise e di Venere,
esauditelo, primo tra i vincitori,
mite con i nemici vinti.

Già per mare e per terra la mano potente
i Medi temono e le scuri albane;
già i superbi Sciti aspettano i responsi
e anche gli Indi.

(Ora che la nuova età dell’oro e della prosperità è iniziata)
già la Fede, la Pace, l’Onore e il Pudore
antico e la Virtù negletta ricompaiono
e l’Abbondanza ricompare beata
con il corno pieno.

L’àugure Febo, con il suo arco fulgido,
e accetto alle nove Muse,
il quale con la sua arte salutare risana
gli arti del corpo,

se guarda (con spirito) equo gli altari sul Palatino
prolunga la potenza romana e il Lazio
e li porta da un lustro all’altro
in un evo migliore.

E tu Diana, che proteggi l’Aventino e l’Algido
ascolta le preghiere dei Quindicenviri
porgi l’orecchio ed esaudisci i voti
dei fanciulli.

Che Giove e gli Dèi seguano questo sentire,
cosicché io (Q. H. F.) ritorno a casa
con la buona e ferma speranza
che il coro è edotto a celebrare le lodi
di Febo e Diana.

Modica 03/ 03/ 2016 Prof. Biagio Carrubba

Modica 03/ 03/ 2016                                                                                      Prof. Biagio Carrubba

 

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