LA BELLEZZA DELLA POESIA LATINA N.9.

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POESIE LATINE SULLE ROSE,

FIORE SIMBOLO DI VENERE, DEA

DELLA BELLEZZA E DELL’AMORE.

La nascita delle rose

Era primavera, e con un lieve soffio pungenti freddi

spirava il giorno, tornato, nel mattino di croco.

Un’aura fresca aveva preceduto i due cavalli di Eos,

con l’invito ad anticipare il giorno, apportatore di caldo.

Erravo tra i giardini irrigui, tra crocicchi squadrati,

con l’intenzione, fattosi giorno, di ritemprarmi.

Vidi allora dense brine pendere dalle erbe piegate

oppure posate sulle cime degli ortaggi,

e gocce aggraziate scherzare sulle ampie foglie dei cavoli.

Vidi roseti coltivati godere della bellezza di Paestum

rugiadosi al nuovo sorgere di Lucifero.

Biancheggiavano rade perle tra i cespugli coperti di brina,

destinate a perire ai primi raggi del giorno.

Saresti rimasto in dubbio se l’Aurora avesse rapito il rossore delle rose,

o fosse lei a donarglielo, ed il giorno, appena sorto, avesse dipinto i fiori.

Una sola la rugiada d’entrambi, uno il colore ed uno il mattino:

dell’astro e del fiore infatti Venere è l’unica signora.

Forse è uno solo anche il profumo: ma mentre quello celeste per le aure

Si disperde, questo, a noi vicino, si lascia di più percepire.

La signora di Pafo, dea in comune dell’astro e del fiore,

vuole che il loro aspetto sia di una medesima porpora.

Era giunto il tempo in cui i nascenti germogli dei fiori

si distribuivano nelle medesime tappe dello sviluppo.

Questa è ancora verde, coperta dal suo stretto manto di petali,

questa è segnata da un sottile petalo di rossa porpora,

questa apre gli alti fastigi dell’estremità del bocciolo,

liberando la punta del capo purpureo.

Quella dispiegava i veli in alto raccolti,

già meditando di gloriarsi per il numero dei propri petali.

Non c’è indugio: rivela la bellezza del ridente calice,

mostrando i fitti semi del color croco che vi sono nascosti.

Questa, che aveva appena brillato con tutto il fuoco delle chiome,

pallida, è abbandonata dai petali caduti.

Guardavo stupito la veloce rovina del tempo che fugge,

e come, appena avuto il tempo di nascere, fossero già vecchie le rose.

Ecco: è caduta la rossa chioma di una purpurea rosa,

mentre parlo, e la terra sfavilla, coperta di rosso.

Tanti aspetti, tante fioriture e così vari mutamenti

Un sol giorni li inizia, lo stesso giorno li conclude.

Leviamo un lamento, o Natura, perché così breve è la grazia dei fiori:

subito rapisci i doni che agli occhi hai appena mostrato.

Quanto è lungo un solo giorno, tanta lunga è l’età delle rose,

ancor giovani la vecchiaia subito le raggiunge.

La rosa che il rosso astro dell’Aurora scorse mentre nasceva

questa, tornato a tarda sera, l’ha vista ormai vecchia.

Ma è un bene, perché, se anche deve morire entro pochi giorni,

avvicendandosi sa prolungare il proprio tempo.

O vergine, raccogli le rose, finché il fiore è nuovo, e nuova la giovinezza,

e ricordati che allo stesso modo si affretta il tuo tempo.

L’origine delle rose

Un giorno Venere alma mentre sfugge gli amori di Marte

e a piedi nudi corre sui prati fioriti,

sacrilega una spina tra le placide erbe spuntò

e d’improvviso, con tenera ferita, la colpì sotto il piede.

Si versa il sangue: di rosso si veste la spina;

e per il misfatto compiuto ebbe in premio il profumo.

Dal sangue rosseggiano tutti i cespugli tra i campi color croco

e col sangue la rosa, che ha imitato gli astri, consacra i rovi.

Che giova, o Cripide, aver fuggito il cruento Marte,

se a te il piede si inumidisce di purpureo sangue?

O Citerea dalle gote vermiglie, così punisci il delitto,

una gemma di fiamma che copre la spina mordace?

Così doveva dolersi la dea, così, la dea  degli amori,

per vendicare poi la ferita con dolci doni.

Questa poesia viene attribuita al poeta Draconzio.

MODICA, 19/11/2024

PROF. BIAGIO CARRUBBA

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