Dall’opera “L’ars Amatoria” di Publio Ovidio Nasone
(43 a.C. / 17 d.C.).
Brani scelti sull’Arte di sedurre e di far all’amore.
Libro II (versi 465-492; versi 703-732)
Le colombe che prima s’azzuffarono, adesso (verso 465)
uniscono i becchi e tubano come parlando d’amore.
Al principio del mondo c’era una massa confusa
senz’ordine, tutti insieme le stelle, la terra e il mare;
ma subito il cielo fu messo sopra la terra, la terra
circondata dall’acqua e il caos diviso in parti:
l’aria accolse gli uccelli, le foreste le fiere,
voi pesci vi nascondeste entro la liquida acqua.
Allora il genere umano errava per terre deserte,
erano forza bruta, corpi senza cervello;
loro casa la selva, erba per cibo, frasche
per letto, si ignorarono l’un l’altro per gran tempo.
Ma quegli animi truci furono raddolciti
dai piaceri d’amore. Una femmina e un uomo
s’incontrarono, cosa dovessero mai fare
non l’impararono certo da un maestro, senz’arte
Venere compì l’opera dolcissima. L’uccello
lo possiede il suo amore, la femmina del pesce
trova nell’acqua chi ne condivide il piacere,
la cerva segue il cervo, la serpe è attratta dal serpe,
la cagna resta attaccata dopo l’accoppiamento,
e torna allo splendore primitivo, così
lieta è la vacca col toro, la capretta camusa
sostiene il maschio fetente. Le cavalle infoiate
impazziscono e vanno per contrade lontane
inseguendo i cavalli dai quali ei divide
un fiume. Datti da fare, impiega questi rimedi
forti con la tua donna: soltanto loro portano
quiete all’ira e al dolore. Questi rimedi vincono
i filtri di Macaone, ed è per merito loro
se dopo il tuo peccato puoi tornare in favore. (Verso 492).
[…]
Insomma, se vorrai prenderti una tardona (verso 703)
e avrai buona costanza sarai ricompensato.
Ecco, complice un letto ha ricevuto due amanti,
Musa, ti puoi fermare davanti alla porta chiusa.
Senza il tuo aiuto saranno dette parole in folla,
spontaneamente, e a letto non sarà certo inerte
la mano sinistra dell’uomo, troverà da impegnare
le dita in quelle parti dove segretamente
Amore infila le frecce. Il fortissimo Ettore,
bravo non solo in guerra, lo fece un tempo ad Andromaca,
il grande Achille lo fece con la sua prigioniera,
quando stanco di guerra calcava il suo morbido letto .
E tu, Briseide, lasciavi che ti toccassero mani
che erano sempre rosse della strage dei Frigi?
Oppur eri viziosa e ti piacevano proprio
sentire sul tuo corpo le mani di un vincitore?
Credimi, non si deve affrettare l’orgasmo
ma arrivarci pian piano con calcolato indugio.
Quando hai trovato i punti dove ella è più sensibile
toccala proprio lì, senza nessun pudore:
vedrai brillare i suoi occhi d’un tremulo fulgore
quale il sole riverbera sopra l’acqua corrente:
poi verranno i lamenti, l’amabile mormorio,
i gemiti dolci, le frasi che convengono al gioco.
Ma tu non devi precederla spiegando vele più ampi,
lei a sua volta non corra più svelta del tuo passo,
andate insieme alla meta; la voluttà è al suo colmo
quando l’uomo e la donna giacciono insieme, vinti.
Comportati così quando ne hai tempo e agio
Né la paura affretta un incontro furtivo;
ma se l’indugiare è un rischio allora fai forza coi remi,
sprona il cavallo lanciato in una libera corsa. (verso 732)
Libro III (versi 57-132; 769-812)
Donne a cui lo permettono legge, diritto e pudore (verso 57)
cercate qui consigli finché m’ispira Venere.
Pensate fin da ora alla futura vecchiaia
perché nessun momento trascorra senza nessun profitto.
Finché potete, finché siete ancora negli anni
di primavera godete, gli anni scappano via
più di un rivo che scorra; l’acqua quando è passata
non la richiami indietro, così non può ritornare
l’ora fuggita. L’età bisogna saperla sfruttare
al meglio, se ne va via con piede troppo veloce
e non ne segue mai una buona come la prima.
Questi sterpi sbiancati li vidi fioriti di viole,
un tempo da queste spine ebbi gradite corone.
Verrà il tempo in cui tu che chiudi le porte agli amanti
giacerai vecchia e fredda nella notte deserte,
né scuoteranno i tuoi battenti le risse notturne,
né troverai la soglia sparsa di rose al mattino.
Ahi, così in fretta il corpo si raggrinzisce di rughe
e sbiadisce il colore del corpo che fu così bello!
E quei capelli bianchi che giuri di avere da quando
eri ragazza subito si spargono per la testa.
La vecchiaia lascia i serpenti insieme alla pelle sottile
e non invecchia i cervi la perdita delle corna,
ma i nostri beni sono senza riparo; cogliete quel fiore
che ove non colto cade miseramente da solo.
E mettici pure i parti che fan sfiorire più in fretta
la giovinezza, troppe messi esauriscono il campo.
La Luna sul monte Latmo non arrossì di Endimione,
Cefalo non fu preda indegna per la dea tutta rosa;
e Venere, a parte Adone che piange ancora oggi,
di dove ha avuto Enea e sua figlia Armonia?
Donne mortali, seguite l’esempio delle dee,
date le vostre gioie agli uomini che vi desiderano!
Ammesso che v’ingannino che ci perdete? Tutto
vi resta, nulla si sciupa seppur vi prendono in mille.
Con l’uso si logora il ferro, le selci si consumano,
ma quella vostra cosetta resiste e non teme danni.
Chi vieterà che una lampada s’accenda a una lampada accesa?
Chi fa la guardia all’acqua nel concavo mare infinito?
E una donna dirà a un uomo che non ci sta?
Dimmi, che cosa ci perdi se non l’acqua con cui ti lavi?
La mia voce non vuole prostituirvi, vi vieta
solo di temere danni che non vi sono.
Più tardi dovrò navigare con i soffi d’un vento più forte,
finché sono in porto mi spinga una brezza leggera!
Comincio dalla cura del corpo. Viene da viti curate
il vino buono, prosperano in terra curata le messi.
La beltà è un dono divino, ma quante possono andarne
fiere? Gran parte di voi è priva di questo regalo.
Ci voglion cure per farsi un viso, un volto negletto
sfiorisce forse pur simile a quello di Venere stessa.
Se non si curavano così le ragazze d’un tempo
è perché i loro uomini erano anch’essi incolti.
Andromaca vestiva tuniche grossolane;
perché stupirsene? Era moglie d’un soldataccio.
Buffo sarebbe che tu venissi tutta elegante
essendo moglie di Aiace, un uomo dallo scudo
fatto di sette pelli di bove! Un tempo regnava
una semplicità rude; ma Roma è d’oro
oggi e possiede le enormi ricchezza del mondo domato.
Guarda com’è il Campidoglio, pensa com’era una volta,
diresti che è consacrato a un Giove diverso.
Oggi la Curia è degnissima della sua eccelsa assemblea,
quando era re Tito Tazio fu una campana di paglia.
E il Palatino che splende sotto la protezione di Apollo
e dei duci, era pascolo per i buoi da lavoro.
Altri amino il passato; io mi congratulo proprio
d’essere nato adesso. L’epoca è adatta ai miei gusti,
non perché dalla terra si cava il tenero oro
e dai lidi lontani vengon conchiglie perlifere
ed i monti decrescono per le cave di marmo
e grandi dighe s’oppongono alle acque azzurre del mare,
ma perché v’è eleganza e cura del corpo, sparita
quella rozzezza durata ben oltre i primi antenati.
Ma voi non gravate le orecchie con le pietre preziose
che l’abbronzato indiano raccoglie nelle acque verdi,
non venite pesanti di vesti tessute d’oro:
il fasto con cui pensate sedurci può metterci in fuga. (verso 132).
[…]
Né è il caso che s’addormenti prima di fine pasto, (verso 767)
nel sonno accadono cose di cui poi ci si pente.
Mi vergogno di andare avanti coi miei precetti,
ma la divina Venere mi dice: “Più di tutte
mi è cara quella parte dell’opera di cui
si arrossisce!” Ed allora tu conosci bene,
a seconda del corpo assumi figura d’amore,
ma non a tutte si addice la stessa. Sei bella di viso?
Allora giaci supina. Fatti vedere di schiena
se la tua schiena ti piace. Milanione portava
le gambe d’Atalanta in spalla, se sono belle
va bene vederle così. Si metta pure a cavallo
dell’uomo una piccolina; mai la sposa tebana
si mise a cavallo di Ettore, lei che era una stangona.
La donna che si ammira per il lungo fluire
dei fianchi s’inginocchi sul letto, la testa indietro.
Chi ha cosce giovanili e seno senza difetti
si sdrai obliquamente davanti all’uomo in piedi.
E non ti sembri brutto tenere i capelli sciolti
e lasciali fluttuare girando il collo al modo
d’una strega. E tu cui la dea Lucina segnò
di brutte rughe il ventre combatti solo di schiena
come il Parto veloce girato sul suo cavallo.
Mille i giochi di Venere, il più semplice e piano
è quando semisupina lei giace sul fianco destro.
Ma i tripodi di Apollo e le corna di Ammone
non vi daranno responsi più veri della mia Musa;
se avete un po’ di fiducia mettetela in quell’arte
che mi son fatto con lunga esperienza, i miei versi
non la deluderanno. La femmina, appagata,
dal fondo delle midolla senta Venere: il gusto
faccia godere entrambi alla stessa maniera.
Non cessino mai le parole dolci e i gioiosi sussurri,
non manchino voci oscene nei vostri lunghi giochetti.
E tu cui la natura negò il piacere sessuale
fingi una dolce gioia con parole bugiarde .
(Infelice la donna che ha senza vita la parte
della quale dovrebbero godere femmina e maschio
parimenti!) Però se fingi sta bene attenta
a non darlo a vedere: coi gesti e gli occhi stessi
sii veritiera. La voce e l’ansito della bocca
danno piena misura del godimento. Ma basta,
la vergogna mi frena. Qui ci vuole il segreto.
Chi chiede un dono all’amante dopo le gioie di Venere
non vorrà dare peso a preghiere del genere.
E non fate entrare sul letto la luce dalle finestre
spalancate: sarà molto meglio che certi
particolari del corpo restino ben nascosti. (verso 808)
Finale
Ecco finito il gioco. E’ tempo ch’io scenda dai cigni
che con il loro collo han tirato il mio cocchio.
Come hanno fatto i ragazzi, adesso le ragazze,
seguaci mie con eguale diritto, possono scrivere
sui loro ricchi trofei: “Ovidio fu il nostro maestro”.
Modica, 07/11/ 2024
PROF. BIAGIO CARRUBAB
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