I più bei epigrammi sul tema del “Carpe diem” di Marcus Valerius Martialis Poeta latino di origine spagnola Vissuto nel I secolo d.C. a Roma

Gli epigrammi di Marziale
Share Button

Ho scoperto, per puro caso, alla mia tarda età la bellezza della poesia del poeta latino Marco Valerio Marziale e me ne rallegro perché mi sarebbe dispiaciuto, molto, morire senza aver potuto gustare con piacere e con voluttà la bellezza dei suoi epigrammi. Sto leggendo, ancora, con piacere e soddisfazione gli epigrammi di questo poeta latino, ma spagnolo di nascita, del I secolo d.C..
Reputo, benché molti dei suoi personaggi descritti negli epigrammi siano ormai sbiaditi e lontani dalla nostra epoca, la bellezza della poesia di Marziale ancora attuale ed intatta di tutta la sua opera epigrammatica.
Ho selezionato, tra tutti gli epigrammi di Marziale, quelli che hanno come tema centrale e peculiare, il tema del “Carpe diem“. Consiglio la lettura di questi epigrammi perché sono veramente belli, istruttivi, parenetici e magnifici.

Oh Giulio, se la lunga confidenza e i diritti di una vecchia amicizia
hanno qualche valore, allora tu sei un amico degno di essere ricordato
prima di ogni altro. Ormai il sessantesimo anno di vita ti è quasi vicino,
eppure la tua vita può contare pochi giorni veramente vissuti.
Faresti male a rimandare quei piaceri che, come vedi, ti possono
essere negati; stima tuo solo il piacere che hai già provato.
Le preoccupazioni e i continui affanni li hai sempre addosso;
le gioie non restano ferme, ma fuggono e volano via.
Afferrale con ambedue le mani e con tutta la forza delle tue braccia.
Spesso, anche così strette, esse ci sfuggono,
scivolando lungo il basso seno.
Non è da uomo saggio, credimi, 
dire: <<Vivrò>>.
Il piacere del domani arriva troppo tardi: 
<<Vivi oggi>>.
Epigrammi, Liber Primus, epigr. 15.

Il mio nome è <<Briciola>>; ciò che cosa io sia, tu lo vedi:
una piccola sala da pranzo. Ecco, da qui vedi il Mausoleo di Augusto.
Schiaccia il divano, chiedi il vino, ornati di rose, ungiti di nardo:
lo stesso Dio ti ammonisce di ricordarti 
della morte.”
Epigrammi, Liber Secundus, epigr. 59.

Oh Collino, a cui è stato concesso di ricevere la corona
di quercia del Campidoglio e di cingere meritatamente
la fronte col primo premio, se hai senno sfrutta tutti i giorni e
considera sempre come ultimo il giorno che stai vivendo.
Nessuno è mai riuscito ad intenerire le tre fanciulle,
che sovrintendono al filo di lana della vita:
rispettano puntualmente il giorno che hanno stabilito.
Puoi essere più ricco di Crispo, più virtuoso dello stesso Trasea,
più distinto del raffinato Meliore: Lachesi non aggiunge
nulla alla quantità di lana già fissata per te e svolge
i fusi delle sorelle: una delle tre si opporrà sempre.
Epigrammi, Liber Quartus, epigr. 54.

Vestino gravemente ammalato, vivendo le sue ultime ore,
ed essendo già sul punto di scendere alle acque Stigie,
pregò le sorelle che svolgevano gli ultimi fili,
che ritardassero con una breve pausa il nero stame,
mentre ormai morto per ciò che lo riguardava,
non viveva che per i cari amici.
Un voto così pio commosse le crudeli dee.
Allora distribuì le sue larghe ricchezze e lasciò la vita,
convinto di morire vecchio dopo questo atto.”
Epigrammi, Liber Quartus, epigr. 73.

Oh Postumo, tu dici sempre che vivrai domani, si, domani.
Ma dimmi, oh Postumo, questo domani quando viene?
Quant’è lontano questo domani! Dove si trova?
Dove bisogna cercarlo? Si nasconde forse tra i Parti
e gli Armeni? Ormai questo domani ha gli anni
di Priamo o di Nestore. Questo domani, dimmi,
a quanto si può comprare? Vivrai domani?
E’ già tardi, oh Postumo, vivere oggi:
è saggio, oh Postumo, chi è vissuto ieri.”
Epigrammi, Liber Quintus, epigr. 58.

Antologia della poesia latina

Oh Callisto, versami due sestanti di falerno e tu,
oh Alcimo, sciogli su di esso la neve estiva;
la mia chioma sia unta e inzuppata di abbondante
amomo e le mie tempie sentano il peso
di una corona di rose. Il Mausoleo così vicino
ci impone di vivere con letizia: ci insegna,
infatti, che perfino gli dei possono morire.”
Epigrammi, Liber Quintus, epigr. 64.

Oh Marciano, Cotta ha ormai sulle spalle -credo-
sessantadue anni, e non si ricorda di aver provato
neppure per un solo giorno il fastidio di un letto caldo
per la febbre. Egli punta il dito, quello impudico verso
Alconte, Dasio e Simmaco. Ma se noi contiamo bene
i nostri anni e stacchiamo dai giorni migliori
tutto quel tempo che ci hanno portato via le brutte febbri,
la greve stanchezza o le crudeli sofferenze,
siamo dei bambini e abbiamo le sembianze di vecchi.
Sbaglia di grosso, oh Marciano, chi ritiene lunga
la vita di un Priamo o di un Nestore.
Non vivere, ma star bene è la vita.
Epigrammi, Liber Sextus, epigr. 70.

Oh Licinio Sura, il più celebre degli eruditi,
la cui lingua amante degli arcaismi ci ha ridonato
gli austeri antenati, ci sei restituito
-oh quanto è stato grande il dono del destino!-
e vieni rimandato indietro, quando avevi quasi
assaggiata l’acqua del Lete. I nostri voti avevano
oramai perduto il timore, la nostra angoscia
piangeva senza più alcuna incertezza e per
le nostre lacrime tu eri ormai spacciato.
Il Signore del silenzioso Averno non potè sopportare
l’odiosità e ha restituito egli stesso al destino
la conocchia a cui era stato strappato il filo.
Tu, dunque, sai quanto pianto ha suscitato
tra gli uomini la falsa credenza della tua morte,
e puoi godere di questa tua sopravvivenza.
Goditi la vita, come si gode il frutto di una rapina,
e assapora le gioie che fuggono; cosicché la vita,
che ti è stata restituita, non abbia nessun giorno perduto.
Epigrammi, Liber Septimus, epigr. 47.

Oh Titullo, dammi retta, goditi la vita. Facciamo ciò
sempre tardi: se anche tu cominciassi a fare ciò
sotto il pedagogo, sarebbe già tardi. Ma tu,
oh povero Titullo, neppure da vecchio ti godi la vita,
ma consumi tutte le soglie per porgere il tuo saluto
e fin dal mattino sei in sudore, umido dei baci
di tutta Roma, e corri senza una meta precisa
per i tre Fori, dalla terza alla quinta ora,
davanti a tutte le statue equestri, al tempio di Marte
e alla statua colossale di Augusto.
Afferra, ammucchia, arraffa, tieni stretto,
ma devi lasciare ogni cosa.
Il tuo ricco scrigno luccichi pure di molto denaro,
si svolgano pure nelle calende cento pagine
dei tuoi registri: l’erede giurerà che tu non gli
hai lasciato nulla, e quando tu sarai disteso sulla bara
o sul marmo, mentre il rogo imbottito di papiro si innalza,
egli, pieno di boria, bacerà gli eunuchi piangenti,
e tuo figlio addolorato, sia che tu voglia o non lo voglia,
dormirà nella prima notte col tuo amasio.”
Epigrammi, Liber Octavus, epigr. 44.

Oh Libero, oggetto di dolcissimo amore per i tuoi amici,
oh Libero, degno di vivere tra eterne rose,
se hai senno, fa’ che i tuoi capelli risplendano
sempre di amomo assirio e il tuo capo sia cinto
di corone di fiori; fa’ che i tersi cristalli nereggino
di vecchio falerno e il soffice letto sia scaldato
da una soave fanciulla. Chi ha vissuto così,
anche se muore a metà della sua vita, ha avuto
una vita più lunga di quella che gli è stata assegnata.”
Epigrammi, Liber Octavus, epigr. 77.

Le Parche

Le Parche

Antonio Primo, uomo felice per la sua vita serena,
conta quindici olimpiadi già vissute, e guarda
ai giorni trascorsi e agli anni che possono dirsi
veramente suoi senza temere le acque del Lete
ormai vicino. Nella sua memoria non c’è un giorno
ingrato o gravoso; non c’è un giorno di cui non voglia ricordarsi.
L’uomo buono allunga lo spazio della sua vita.
Potere compiacersi della vita già vissuta
significa vivere due volte.”
Epigrammi, 
Liber Decimus, epigr. 23.

Oh Quinto Ovidio, che stai per visitare i Britanni Caledonii,
la verde Teti e il padre Oceano, dunque vuoi lasciare
i colli di Numa e gli ozi nomentani, né ti trattengono,
benché vecchio, i tuoi campi e il tuo focolare?
Tu rimandi le tue gioie, ma Atropo non rimanda
i giri del suo fuso e ti mette in conto ogni ora.
Tu dimostrerai a un caro amico
-e chi non ti loderebbe per questo?-
che per te il sacro legame dell’amicizia vale
più della vita: ma torna un giorno nella tua Sabina
per rimanerci e annovera anche te tra i tuoi amici!”
Epigrammi, 
Liber Decimus, epigr. 44.

Nei giorni di sfrenata allegria dedicati al vecchio Dio (Saturno)
armato di falcetto , in cui sono sovrani assoluti i dadi,
penso che tu, oh Roma, che porti sul capo il berretto
della libertà, mi permetterai di scherzare con versi
che non mi costano nessuna fatica.
Hai riso: dunque mi è lecito, non mi è vietato.
Andate lontano da qui, oh affanni che fate impallidire;
voglio parlare di tutto ciò che mi passa per la mente,
senza farmi impedire da alcun riguardo.
Riempi, oh coppiere, le grandi coppe con metà
acqua e metà vino, com’erano quelle che Pitagora
porgeva a Nerone; riempine di più, oh Dindimo.
Se non bevo, non riesco a scrivere nulla;
quando bevo valgo per quindici poeti.
Dammi, oh Dindimo, ora baci, proprio come
quelli che erano dati a Catullo. Se saranno
tanti quanti furono quelli di cui egli parla,
ti darò il Passero di Catullo .”
Epigrammi, Liber Undecimus, epigr. 6.

Evviva! Ecco, Gaio Giulio è stato restituito ai miei voti
e mi fa segnare questo giorno con una bianca gemma.
Mi fa piacere avere temuto, come se le Parche avessero
già troncato il filo della sua vita: chi non ha temuto,
gode di meno. Oh pigro Ipno, che aspetti?
Mesci l’immortale Falerno: voti come questi,
esigono una vecchia anfora. Voglio bere cinque,
sei, otto ciati, quante sono le lettere di Gaius Iulius Proculus.”
Epigrammi, Liber Undecimus, epigr. 36.

Oh stoico Cheremone, vuoi che io ammiri ed apprezzi
il tuo animo, perché ti profondi in lodi sulla morte?
Questa grandezza d’animo te la dànno l’orcio
dal manico rotto, lo squallido focolare non scaldato dal fuoco,
la stuoia, le cimici, la sponda del tuo misero lettuccio,
la corta toga che porti sempre di notte e di giorno.
Che magnanimo uomo sei tu che puoi fare a meno
della feccia di un rosso aceto, di un letto di paglia e
di un tozzo di pane nero!
Orsù, supponiamo che il tuo materasso sia pieno
di lana leuconica, che una coperta di porpora copra
il tuo letto e che quel fanciullo che poco prima,
mescendo il Cecubo, aveva attirato gli sguardi
dei commensali col suo roseo viso, dorma con te.
Oh, come desidereresti vivere tre volte la vita
di Nestore e non perdere un istante di nessuna giornata!
E’ facile disprezzare la vita nelle ristrettezze;
è forte colui che sa sopportare la miseria.”
Epigrammi, Liber Undecimus, epigr. 56.

Avete letto, avete gustato la bellezza di questi epigrammi? Sono sicuro che ora siete più felici!!!

Il Professore Biagio Carrubba

Modica, 3 dicembre 2015

Biagio Carrubba

Share Button

Replica

Puoi usare questi tag HTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>