GLI EPIGRAMMI PIU’BELLI (2) DI MARCUS VALERIUS MARTIALIS

Share Button

GLI EPIGRAMMI PIU’BELLI (2)
DI MARCUS VALERIUS MARTIALIS

2

sul tema della “L’ ideale di vita e
le cose desiderate dal poeta”
di Marcus Valerius Martialis,
poeta latino di origine spagnola
vissuto nel I secolo d.C. a Roma

Io, B. C., continuo a scoprire e a gustare la bellezza della poesia epigrammatica del poeta spagnolo Marco Valerio Marziale. La lettura di questi epigrammi continua a darmi emozioni forti e desta in me sentimenti eccellenti e fortificanti. Reputo che ancora oggi il fascino e l’incanto della poesia di Marziale non sia scemata né diminuita, ma sia rimasta del tutto integra e completa, nonostante il passare del tempo: dalla loro composizione fino ad oggi. Infatti credo che questi componimenti non abbiano perso nulla della loro bellezza originaria ed originale. Questa volta ho selezionato, tra tutti gli epigrammi di Marziale, quelli che hanno come tema centrale e peculiare, il tema: “L’ideale di vita e le cose desiderate dal poeta”. Continuo, dunque, a consigliare la lettura di questi epigrammi perché sono veramente suggestivi, seducenti, attraenti e allettanti.

1

Da “Epigrammi, Liber Primus”, epigr. 55.

“Oh Frontone, splendida gloria delle armi e delle magistrature,
vuoi sapere, in breve, qual è l’ideale di vita del tuo Marco?
Eccolo. Vorrebbe essere un coltivatore di un poderetto suo
e non grande, e (vorrebbe) vivere una vita alla buona e
senza impegni in un modesto benessere. C’è forse qualcuno
che preferirebbe frequentare le fredde sale adorne
di policromi marmi spartani e (vorrebbe) portare,
da sciocco, il suo saluto mattutino, (certamente no);
mentre qualora potesse, da felice,
vorrebbe dispiegare davanti al focolare le reti piene
di selvaggina e di frutta o (vorrebbe) tirare su
con la tremula lenza i pesci guizzanti e (vorrebbe)
versare il biondo miele dal rosso vaso? (Certamente si).
(Vorrei essere) un uomo a cui una grassa fattoressa
apparecchia la tavola zoppicante e la cenere
non comprata e cuoce le uova delle proprie galline!
Io auguro a chi non mi ama di non amare
questo genere di vita e gli auguro di vivere
col suo pallore in mezzo alle brighe della città.

2

Da “Epigrammi, Liber Primus”, epigr. 107.
“Oh carissimo Lucio Giulio, tu spesso mi dici:
“Scrivi un’opera grande: sei un uomo pigro”.
Dammi una vita tranquilla, simile a quella
che una volta Mecenate aveva procurato ai suoi
Orazio e Virgilio: io tenterei allora di comporre
opere destinate a vivere nei secoli e di strappare
il mio nome alle fiamme del rogo. I giovenchi
si rifiutano di tirare l’aratro sopra campi sterili.
Il terreno grasso stanca, ma la stessa fatica fa piacere.”

3

Da “Epigrammi, Liber Secundus”, epigr. 48.
“(Io, Marziale, desidererei avere) un oste,
un macellaio, un bagno pubblico, un barbiere,
una scacchiera coi suoi pezzi, pochi libri
ma scelti da me, un amico che abbia un po’
di cultura, uno schiavetto già grandicello
e che resti a lungo senza barba, una fanciulla
che sia gradita al mio schiavetto. Dammi,
oh Rufo, queste cose anche a Bitonto e tieniti
per te le terme di Nerone.”

4

Da “Epigrammi, Liber Secundus”, epigr. 90.
“Oh Quintiliano, sommo maestro della volubile gioventù,
oh Quintiliano, gloria del foro di Roma, perdonami se,
povero e non ancora decrepito, mi affretto
a godermi la vita: nessuno si affretta abbastanza
a godersi la vita. Chi desidera accrescere
il patrimonio paterno e chi riempie gli atri
di enormi statue di antenati rinvii pure ciò.
Un focolare, una casa che non disdegna
il nero fumo, una viva fonte e un rustico prato
formano la mia delizia. Possa io avere uno schiavo
nato in casa ben nutrito, una sposa non troppo dotta,
la notte senza insonnia e la giornata senza litigi.”

5

Da “Epigrammi, Liber Tertius”, epigr. 65.

“(L’effluvio che viene emanato da te, oh Diadumeno)
è il profumo che si sente quando una tenera fanciulla
morde una mela; è il profumo che un venticello porta
dallo zafferano coricio; è quello che un bigio vigneto emana,
quando fioriscono i primi grappoli o le erbe
appena brucate dalle pecore; è il profumo
del mirto, del mietitore arabo, dei pezzetti d’ambra;
è il profumo del fuoco che diventa giallo
per l’incenso orientale; è il profumo che emana
dalla terra quando è lievemente bagnata
da una pioggia estiva; è il profumo che manda
una corona che è stata in contatto con una
chioma unta di nardo. Questo è il profumo
che mandano i tuoi baci, oh crudele, fanciullo Diadumeno.
E ti dico che io sarei più contento se tu mi dessi
i tuoi baci senza riluttanza!”

6

Da “Epigrammi, Liber Tertius”, epigr. 69.
“Tu, oh Cosconio, scrivi tutti i tuoi epigrammi
usando termini casti, e nei tuoi carmi non c’è
nessun accenno al pene. Ti ammiro, ti lodo.
Non c’è nulla di più puro di te; al contrario,
non c’è nessuna mia pagina priva di espressioni oscene.
I miei carmi dunque siano letti dai giovani dissoluti,
dalle ragazze allegre e anche dai vecchi,
ma dai vecchi che abbiano un’amante che li tormenti.
I tuoi carmi invece, oh Cosconio, venerandi e puri,
meritano di essere letti dai fanciulli e dalle fanciulle.”

7

Da “Epigrammi, Liber Quartus”, epigr. 25.
“Oh Lido (della città) di Altino, emulo delle ville di Baia,
oh bosco che hai visto il rogo di Fetonte,
oh giovane Sola, la più bella delle Driadi,
che sei andata sposa al padovano Fauno
presso i laghi Euganei, oh Aquileia, lieta
del tuo (fiume) Timavo, famoso per il figlio di Leda,
dove (il cavallo) Cillaro bevve l’acqua delle sette foci.
Voi sarete il mio rifugio e il porto della mia vecchiezza,
se potrò disporre del mio riposo come io desidero.”

8

Da “Epigrammi, Liber Quintus”, epigr. 20.
“Se io potessi, oh caro Giulio Marziale, godermi con te
le mie giornate libere da pensieri;
se noi potessimo organizzare a nostro talento,
il nostro tempo libero e vivere insieme la vera vita,
non visiteremmo gli atri né i palazzi dei signori,
né gli austeri tribunali, né il noioso Foro,
né le superbe statue degli antenati, ma frequenteremmo
i luoghi di passeggio e di conversazione, le librerie,
il Campo Marzio, i portici, i viali ombreggiati,
le piscine e le terme. Sarebbero questi sempre i luoghi che
frequenteremmo, queste le cose che noi faremmo.
Ora purtroppo nessuno di noi due vive per sé.
Sentiamo sfuggire e svanire i bei giorni,
che sono perduti per noi e che ci vengono
messi in conto. C’è forse qualcuno che,
pur sapendo qual è la vera vita, indugia a viverla?”

9

Da “Epigrammi, Liber Quintus”, epigr. 46.
“Non voglio altri baci che ti ho strappato
a viva forza, e la tua ira mi piace più del tuo viso.
Perciò ti picchio, oh Diadumeno,
perché spesso possa chiederti i baci.
Ecco però ciò che ottengo: non mi temi e non mi ami.”

10

Da “Epigrammi, Liber Quintus”, epigr. 80.
“Oh Severo, se sarai libero da impegni,
dedicami un’ora di tempo, non intera,
e mettimela pure in conto, per leggere e
giudicare le mie bagattelle.
“È duro rinunziare alle vacanze.”
Ti prego di sopportare e di subire questo sacrificio.
Se leggerai questi versi insieme all’eloquente Secondo
-è forse una pretesa la mia? – ,
il mio libretto avrà un debito molto più grosso
verso di te che verso il suo autore.
Se la lima rigorosa del dotto Secondo
insieme al mio amico Severo lo avranno corretto,
il mio libretto sarà sicuro e non vedrà
i rotolanti sassi di Sisifo sfinito dalla fatica.”

11

Da “Epigrammi, Liber Sextus”, epigr. 60.
“La mia Roma loda, ama, canta i miei epigrammi;
io sono in ogni piega della toga e in ogni mano.
Ecco, c’è un tale che diventa rosso, impallidisce,
stupisce, sbadiglia, mi odia. Proprio questo
io voglio: ora mi piacciono i miei epigrammi.”

12

Da “Epigrammi, Liber Septimus”, epigr. 84.
“Mentre il mio ritratto viene fatto per Cecilio Secondo
e il quadro acquista vita sotto l’abile mano,
va, oh mio libro, alla getica Peuce e al soggiogato Istro.
Egli (Cecilio Secondo) governa quei luoghi,
le cui genti sono state vinte. Sarai, tu mio libretto,
sarai un dono modesto, ma gradito per il mio caro amico.
Nei miei versi vi sarà una mia immagine più fedele.
Essi non saranno distrutti né dalle umane vicende, né dagli anni.
Vivranno anche quando perirà l’opera di Apelle.

13

Da “Epigrammi, Liber Octavus”, epigr. 45.
“Oh Flacco, il paese dell’Etna mi restituisce Terenzio Prisco:
questo giorno sia segnato con una perla bianca come il latte.
Si sturi un’anfora, il cui contenuto è diminuito
attraverso i cento consoli, e il torbido vino si renda limpido
per mezzo di un soffice lino. Quando la mia tavola
avrà la ventura di un’altra notte così felice?
Quando mi sarà concesso di scaldarmi
col vino per un motivo così giusto?
Quando, oh Flacco, Cipro, sacra a Venere,
ti restituirà a me, allora io avrò un motivo
altrettanto giustificato per un fastoso banchetto.”

14

Da “Epigrammi, Liber Octavus”, epigr. 73.
“Oh Instanio, che superi ogni giorno per la sincerità
del cuore e per la schietta sincerità, se vuoi dare
alla mia poesia forza e ispirazione, se desideri avere
da me carmi immortali, dammi un vero Amore.
Cinzia fece poeta te, oh lascivo Properzio,
Gallo trovava la sua ispirazione nella bella Licoride;
il melodioso Tibullo deve la sua fama alla leggiadra Nemesi;
Lesbia dettò i tuoi carmi, oh dotto Catullo.
Se avrò una Corinna, se avrò un Alessi,
non mi disprezzeranno come poeta,
né i Peligni, né Mantova.”

15

Da “Epigrammi, Liber Decimus”, epigr. 24.
“Oh Calende di marzo, giorno del mio compleanno,
le più belle fra tutte le calende, quando mi mandano
doni anche le fanciulle per la cinquantasettesima volta,
io offro al vostro altare una focaccia e questa cassetta
di incenso. Agli anni che ho già vissuto aggiungetene,
vi prego, se il favore che vi chiedo mi sarà utile,
altri diciotto, in modo che io possa scendere
ai boschi della elisia fanciulla, non ancor appesantito
da una troppa avanzata vecchiaia, ma avendo
già vissuto tre generazioni. Dopo una vita così lunga
non vi chiederò neppure un giorno in più.”

16

Da “Epigrammi, Liber Decimus”, epigr. 47.
“Oh amabilissimo Giulio Marziale, ecco le cose
che rendono felice la vita:
un patrimonio non acquistato con la fatica,
ma ottenuto per eredità; un podere fertile,
un focolare sempre acceso, niente processi,
pochi impegni di cliente, una mente tranquilla,
il vigore di un uomo libero, un corpo sano,
un animo schietto ma accorto,
amici del tuo stesso grado, commensali cordiali,
cibi non troppo complicati, notti prive di ebrezza,
ma libere da affanni, una donna che sappia consolarti,
ma non sguaiata, un sonno che renda brevi le tenebre notturne,
essere contento del proprio stato e non preferirne un altro.
Non temere e non desiderare la morte.”

17

Da “Epigrammi, Liber Decimus”, epigr. 74.
“Abbi pietà finalmente, oh Roma,
di un uomo stanco di portare i suoi saluti
ai suoi signori, di un cliente sfinito.
Per quanto tempo dovrò ancora sudare
tutta la giornata in mezzo a servitorelli,
per guadagnarmi cento misere monete
di piombo, mentre Scorpo vincitore nella corsa
si porta via in un’ora quindici sacchi di luccicante oro?
Come premio dei miei libretti
-ben poco essi valgono- non chiedo poderi in Puglia,
non mi attirano le terre sicule, né l’Egitto
ricco di biade, né i vigneti dalla dolce uva,
che dalle alture di Sezze guardano
verso le paludi Pontine.
Mi chiedi allora cosa desidero? Dormire.”

18

Da “Epigrammi, Liber Decimus”, epigr. 104.
“Va, oh mio libretto, compagno del mio caro Flavo,
attraverso un mare lontano ma placido, e
con una facile attraversata e con venti propizi
rècati alle rocche della spagnola Tarracona.
Lì ti prenderà una carrozza e rapidamente,
forse in cinque tappe, giungerai all’alta Bilbili e al tuo Salone.
Mi chiedi che incarico posso darti?
Salutami, appena arrivato, i pochi ma vecchi amici,
che non vedo da trentaquattro anni e poi prega
il mio Flavo che mi prepari una casa appartata,
piacevole e comoda a un prezzo onesto,
che renda facile il riposo del tuo poeta.
È tutto. Già il nocchiero adirato ti chiama e
ti rimprovera per l’indugio e il vento favorevole
ha aperto il porto. Addio, libretto:
io credo -e tu lo sai bene- che un solo viaggiatore
non trattiene la nave.”

18

Da “Epigrammi, Liber Undecimus”, epigr. 80.
“Oh Flacco, se io lodassi con mille versi Baia,
la splendida spiaggia della felice Venere,
l’incantevole dono della superba natura,
non la loderei abbastanza.
Ma io, oh Flacco, amo Giulio Marziale più di Baia.
Desiderare ambedue le cose
nello stesso tempo sarebbe un desiderio troppo ardito.
Se però ciò mi fosse concesso
dal favore degli déi, quale grande gioia
sarebbe avere insieme Marziale e Baia!”

19

Da “Epigrammi, Liber Duodecimus”, epigr. 18.
“Mentre tu, oh Giovanale, forse ti aggiri indaffarato
per la rumorosa Suburra o consumi la strada del colle di Diana,
mentre varchi le soglie dei palazzi dei signori,
ventilato dalla toga, che ti fa sudare, e ti affatichi correndo
per il Celio maggiore e minore, io vivo la mia vita campagnola
nella mia Bilbili, superba di oro e di ferro, ove sono tornato
dopo molti anni. Passo qui le mie giornate in pigrizia
e tra piacevoli lavori a Boterdo e a Platea
-nella certiberia si incontrano questi nomi rustici-,
mi godo le mie profonde e accanite dormite,
che spesso non rompe neppure l’ora terza e mi rifaccio
ora di tutto quel sonno che ho perso in trenta anni d’insonnia.
Qui la toga è sconosciuta: mi viene dato, quando lo richiedo,
quel vestito che mi sta vicino sulla sedia sgangherata.
Quando mi alzo, mi accoglie il focolare ben guarnito
di grossi ciocchi portati dal vicino querceto,
su cui pendono tutto all’intorno le molte pentole della fattoressa.
Poi arriva il cacciatore, un giovane che tu vorresti avere
con te nel segreto del bosco; e il fattore sbarbato assegna
il lavoro agli schiavi e mi chiede
il permesso di far tagliare i loro lunghi capelli.
Così mi piace vivere, così mi piace morire.”

Avete letto, avete gioito di questi nuovi epigrammi? Sono sicuro che adesso siete un po’ più gioiosi di prima.

 

20200201_151636

Modica, 26 febbraio 2020                                                                                      Prof. Biagio Carrubba

Share Button

Replica

Puoi usare questi tag HTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>