
I
Introduzione e cronologia della silloge
“VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI”.
“VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI” è la silloge di poesie che Cesare Pavese scrisse tra l’11 marzo e l’11 aprile 1950. La silloge comprende dieci poesie tutte ispirate dal tormentato e disperato amore per l’attrice americana Constance Downling. Pavese e la Downling trascorsero una settimana insieme a Cervinia ma a metà del mese di marzo l’attrice partì per Roma per poi ritornare in America. La prima e l’ultima poesia della silloge sono scritte in inglese. Le dieci poesie della silloge sono state trovate, alla morte di Pavese, in una cartella nella scrivania del suo ufficio nella casa editrice Einaudi. La cartella aveva nel frontespizio il titolo “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (11 marzo – 11 aprile 1950). L’ordine, i titoli e le date delle poesie sono:
- To C. From C. (A Constance da Cesare) 11 marzo 1950
- In the morning you always come back (Nel giorno tu sempre ritorni) 20 marzo 1950
- Hai un sangue, un respiro. 21 marzo 1950
- Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. 22 marzo 1950
- You, wind of March. (Tu, vento di marzo) 25 marzo 1950
- Passerò per Piazza di Spagna. 28 marzo 1950
- I mattini passano chiari. 30 marzo 1950
- The night you slept. (La notte si dormiva)04 aprile 1950
- The cats will know (I gatti lo sapranno)10 aprile 1950
- Last blues, to be read some day. (L’ultimo blues da leggere un giorno) 11 aprile 1950.
Le poesie della silloge esprimono in modo elegiaco e lirico il dolore e il tormento del poeta per la partenza dell’attrice che non ricambiò il suo amore. Il tono delle poesie è invocativo e melanconico ma ci sono anche pause e versi che esprimono tutta la speranza del poeta di un possibile nuovo incontro con l’attrice americana. La poesia numero 6, “Passerò per Piazza di Spagna”, infatti celebra e sogna la felicità del poeta per un incontro fantastico ed euforico con Constance a casa dell’attrice a Roma. Per andare a casa dell’attrice Pavese passerà da Piazza di Spagna e guarderà i fiori e la famosa scalinata della Trinità. Ma sia la felicità che l’incontro furono solo un sogno del poeta. Nella lettera del 17 aprile del 1950 Pavese accenna ad un altro incontro con Connie, l’11 aprile, quando l’aspettò in un hotel di Roma. Ma, come ci racconta Davide Lajolo, questo incontro fu nervoso e deprimente per il poeta perché poi lei lo abbandonò per andare nel letto di un altro. Connie decise di partire per gli Usa il 20 aprile. Cesare Pavese le inviò, in America, la prima copia, fresca di stampa, del romanzo “La luna e i falò” che le dedicò con la famosa epigrafe “for C. Ripeness is all” (per Constance – la maturità è tutto). Ma per comprendere l’esatta dinamica e la convulsione dei giorni passati da marzo ad aprile è necessario mettere a confronto le annotazioni che Pavese scrisse nel diario in quei giorni con le lettere e con le poesie. Dal raffronto tra diario, lettere e poesie emerge chiaramente lo stato d’animo penoso del poeta e il suo tormento interiore che riuscì a sublimare e a riversare nelle poesie lasciandoci un piccolo, ma intenso, canzoniere di amore e di morte che è ancora leggibile e godibile perché il poeta esprime un amore non corrisposto ed infelice. La breve silloge racconta la storia del suo tentativo di amore con Connie e sintetizza i patemi d’animo, le speranze e la delusione dell’amore del poeta non corrisposto da parte dell’attrice. Le prime tre poesie descrivono il momento iniziale dell’innamoramento del poeta per l’attrice ricreando anche il momento iniziale e l’ambiente geografico dove nacque il suo trasporto affettivo per lei. Pavese scrive la prima annotazione sul diario il 6 marzo descrivendo sia l’ambiente di montagna di Cervinia, sia il carattere di Connie. Riporto parte del lacerto annotato il 6 marzo sul diario: “(Cervinia) Stamattina alle 5 o 6. Poi la stella diana, larga e stillante sulle montagne di neve. L’orgasmo, il batticuore, l’insonnia. Connie è stata dolce e remissiva, ma insomma staccata e ferma. Il cuore mi ha saltato tutto il giorno, e non smette ancora…” (Da Il mestiere di vivere pag. 391). Pavese scrive la seconda annotazione sui suoi sentimenti verso Connie il 9 marzo 1950. In questa pagina del diario Pavese annota anche la sua paura per la sua impotenza, sconosciuta alla donna. Riporto parte del lacerto: “…Ma perché non ho osato lunedì? Paura? Paura del 13 venerdì, paura della mia impotenza? È un passo terribile” (Da Il mestiere di vivere, pag. 392).. Dopo queste due annotazioni il poeta scrisse le prime tre poesie. In quei giorni Pavese dovette dichiarare il suo amore verso Connie dalla quale ricevette un diniego. Per questo motivo il poeta diventò triste e pessimista. Con questo stato d’animo Pavese scrisse la famosa poesia “VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI” e la successiva, anch’essa cupa e triste come la precedente. Il 25 marzo, lo stesso giorno in cui scrisse la quinta poesia, “Tu, vento di marzo”, Pavese scrisse la celebre riflessione che conferma la sua prostrazione nel rapporto con l’attrice: “Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, misera, inermità, nulla” (Da Il mestiere di vivere, pag. 394). Dopo queste due poesie ne seguono delle altre in cui il poeta spera di incontrare l’amata a Roma e spera di avere un’altra possibilità di riprendere l’amore con lei e quindi scrive la poesia “Passerò per Piazza di Spagna”. Le successive due poesie, la settima e l’ottava, sono poesie di attesa del poeta che spera di incontrare nuovamente Connie ma anche poesie di rimpianto per i bei pochi giorni passati insieme a Cervinia. La penultima poesia, è un’altra poesia nella quale il poeta immagina che Connie rientrerà in America, nella sua casa a New York, e anche i gatti sapranno del suo rientro. L’ultima poesia è una poesia drammatica perché il poeta si congeda da Connie e prende coscienza che questo tentativo di amore era stato poco più di un flirt per lei. Ma per il poeta fu l’ennesimo scacco amoroso da parte di una donna e sarà anche l’ultimo in quanto il rifiuto di Connie influenzerà la decisione del suo gesto estremo. L’ultima poesia fu scritta in inglese e fu tradotta in italiano da Italo Calvino:
Testo della poesia Last blues, to be read some day.
Era solo un flirt
tu certo lo sapevi
qualcuno fu ferito
tanto tempo fa.
È tutto lo stesso
il tempo è passato
un giorno venisti
un giorno morirai.
Qualcuno è morto
tanto tempo fa
qualcuno che tentò
ma non seppe.
11 aprile 1950.
Pavese nella lettera che scrive il 17 aprile a Connie spiega chiaramente anche i sentimenti di speranza, delusione e tormento, provati con lei e anche le ore di attesa passate all’hotel di Roma. Nella lettera Pavese accenna anche alla poesia scritta in inglese. Il poeta comincia la lettera annunciando e dicendo la sua disillusione del rapporto: “Non sono più in animo di scrivere poesie. Le poesie sono venute con te e se ne vanno con te. Questa l’ho scritta qualche pomeriggio fa, durante le lunghe ore all’Hotel in cui aspettavo, esitando, di chiamarti. Perdonane la tristezza, ma con te ero anche triste. Vedi, ho cominciato con una poesia in inglese e finisco con un’altra. C’è in esse tutta l’ampiezza di quel che ho sperimentato in questo mese – l’orrore e la meraviglia. Carissima, non avertela a male se sto sempre parlando di sentimenti che tu non puoi condividere. Almeno puoi capirli. Voglio che tu sappia che ti ringrazio di tutto cuore. I pochi giorni di meraviglia che ho strappato dalla tua vita erano quasi troppo per me – bene, sono passati, ora comincia l’orrore, il nudo orrore e io sono pronto a questo. La porta della prigione è tornata a chiudersi di schianto…” (Da C. Pavese Vita attraverso le lettere, pag. 242).
II
Il genere della silloge.
La silloge è un canzoniere di amore e di morte. È di amore perché Pavese celebra l’amore e lo identifica con la morte come accade con la poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Lo spirito e il tono d’amore sono manifestati dai numerosi soprannomi con cui Pavese chiama Connie. Nella prima poesia la definisce “Daina dalle membra bianche” (v.9); nella seconda poesia la soprannomina “Stella sperduta” (v. 13); nella terza poesia la identifica con elementi della natura e la chiama “Acqua chiara, virgulto / primaverile, terra, / germogliante silenzio” (vv. 19 – 21); nella quarta poesia la definisce “sangue di primavera / – anemone o nube” (vv. 5 – 6); nella settima poesia la definisce “O luce, / chiarezza lontana, respiro / affannoso rivolgi gli occhi / immobili e chiari su noi” (vv. 16 – 19); nell’ottava poesia la definisce “O viso chiuso, buia angoscia, / febbre che rattristi le stelle” (vv. 11 – 12); nella penultima poesia la definisce “Viso di primavera” (v. 21). Ma la silloge è anche un canzoniere della morte perché il poeta non si sottrae alla sua idea di morire per amore e anzi il fallimento dell’amore e il diniego dell’attrice contribuiscono a fare mettere in pratica al poeta l’idea del suicidio.
La metrica della silloge.
Le poesie privilegiano soprattutto strofe lunghe e versi di settenari ma vi sono anche molti versi irregolari. La rima è molto libera e vi sono molte assonanze tra le parole.
Il linguaggio della silloge.
Il linguaggio delle poesie è molto semplice, lineare ed elegante. Le poesie sono composte da parole comuni e frequenti ma trasfigurate in forma poetica. Il linguaggio è ricco di figure retoriche che trasformano le poesie in immagini più complesse e precise. Le frasi sono brevi ma intense e vi sono molti stacchi di contenuto tra un verso e l’altro. Le figure retoriche più frequenti sono: similitudini, introdotte dalla congiunzione polisemica “come”, e molto più spesso senza l’introduzione di “come”, molte metafore e qualche chiasmo. Tra le similitudini una molto bella è quella della poesia “Passerò per Piazza di Spagna”: “il cuore batterà sussultando / come l’acqua nelle fontane” (vv. 14 e 15). Tra quelle senza l’avverbio come una delle più belle si trova nella poesia “Ha un sangue, un respiro”: “una nube, che sgorga / come polla dal fondo” (vv. 25 – 26). Tra le metafore una molto bella è quella della poesia “You, wind of March”: “e il torrente del cuore / si è ridestato e irrompe” (vv. 39 e 40). Un chiasmo molto bello si trova nella poesia “To C. From C.”: “tu, screziato sorriso / tu, risata ardente” (vv. 19 e 20).
Il tono emotivo della silloge.
Il tono emotivo delle poesie è soffuso di melanconia ed è ricco del clima psicologico languido e dell’atteggiamento di invocazione che pervade il poeta. Il poeta, infatti, invoca e desidera vivamente Connie e chiede la luce dei suoi occhi. A questo clima di sofferenza dell’intera silloge fa eccezione la poesia “Passerò per Piazza di Spagna” che è una poesia solare, ricca di luce, di colore, di fantasia e di fontane che esprimono la speranza del poeta di ritrovare l’amore di Connie. Il tono emotivo delle poesie si identifica anche con la stagione della primavera, con marzo, il periodo della breve relazione avuta con Connie. Il poeta vorrebbe ridestarsi al periodo della primavera, scrollarsi di dosso il freddo e il gelo dell’inverno ma questo risveglio è frustrato dal disgelo e dalla pioggia di aprile.
La lexis delle poesie.
La lexis di un poeta è un fattore della sua personalità. È un dono che ha ricevuto nella sua vita dalla sua intelligenza. Cesare Pavese mostra di avere ricevuto il dono della lexis sin dalla sua infanzia e ora nella sua ultima produzione poetica emerge chiaramente nel suo modo di poetare. Lo stile di Pavese, in tutta la sua produzione poetica, è ampio, articolato e variegato, considerando anche lo stile narrativo della sua prima opera “Lavorare Stanca”. In questa silloge lo stile di Pavese è monotono, uniforme e medio; infatti tutte le poesie hanno una lexis uguale nei toni e nei ritmi e anche nei versi letterari, ad eccezione dei due picchi di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, cupa e triste, e “Passerò per Piazza di Spagna”, solare e briosa. Ma ogni poesia della silloge è costruita con arte, con simmetria e con ordine e ogni poesia sviluppa una idea che conferisce e dona una elegia e una liricità dovute alla lexis personale del poeta. La lexis della silloge è tutta costruita con frasi brevi su figure retoriche semplici e sulla chiarezza delle immagini, ma l’accumulo di frasi brevi ed intense produce una poesia articolata, variegata e vivace così come sono molte poesie della silloge. Pavese ripete questa lexis, che dà una forma media uguale alle poesie, formate da una scrittura uniforme simmetrica, per tutta la silloge ad eccezione delle due poesie sopra menzionate.
La bellezza della silloge.
La bellezza della silloge nasce dal fatto che le poesie sono focalizzate sull’atteggiamento e sul comportamento di Connie e sui benefici che l’amore apporta al poeta. Il poeta mette in primo piano LEI, la valorizza e le conferisce la forza dell’amore. La descrizione del clima languido e dell’invocazione di Connie da parte del poeta crea una bellezza poetica costruita su un clima ambientale di chiaro scuro e di luci e di ombre e su un clima psicologico fatto di speranza e di ricerca di Connie da parte del poeta che è continuamente disatteso da lei. Lei è raffigurata come una donna leggera, di poche parole, quasi taciturna, ma che ha il potere di ridestare l’amore nel poeta. Pavese si tormenta continuamente perché Connie gli sfugge e non mostra mai di corrispondere il suo amore. Un altro motivo di bellezza della silloge sorge dalla lexis di Pavese. Pavese costruisce queste poesie, oltre che sui suoi sentimenti anche sul fascino della propria lexis personale. Sono poesie liriche ed elegiache, chiare e tutte basate sul rapporto franco con lei e quindi assumono, prevalentemente, un tono realistico. Ma molte poesie contengono anche una sfumatura e una tendenza all’ermetismo. Per esempio, la poesia “Tu, vento di marzo”, (V poesia) presenta caratteristiche ermetiche perché ha versi brevi e quindi tende ad allungarsi in verticale, usa molte metafore leggere, la punteggiatura è irregolare e il lettore deve ricostruirla e riordinarla da sé. Anche la poesia “I gatti lo sapranno” (IX poesia) ha le stesse caratteristiche di “Tu, vento di marzo” ed entrambe fanno pensare a molte poesie del primo Ungaretti. Ma questo ermetismo non è un ritorno indietro per Pavese ma è una aggiunta alla sua lexis che acquista una maggiore flessibilità e un clima più oscuro e languido rispetto alla poesia narrativa di “LAVORARE STANCA”.
III
Pavese conobbe Constance Downling e sua sorella Doris giorno 01 gennaio 1950 a casa del suo amico medico Giovanni Rubino e della moglie Alda Grimaldi, a Roma. A marzo Pavese trascorse una settimana con Constance a Cervinia e provò per lei un grande trasporto affettivo ed amoroso non ricambiato dalla donna. A metà marzo l’attrice ripartì per Roma e per Pavese fu una grande delusione e un grande scacco perché si rese conto che questa era stata l’ultima occasione di un amore che poteva nascere ed invece non nacque. Sia le annotazioni nel diario, che le lettere e le poesie per lei sono ispirate da due grandi sentimenti che Pavese provò nei mesi di marzo ed aprile e cioè l’orrore e la meraviglia, così come li esplicita nella lettera del 17 aprile. Ma, Pavese, ebbe già chiara l’idea di questi due sentimenti nella prima lettera che scrisse a Connie, che era del 17 marzo quando le spiegava che lui non aveva mai conosciuto un grande amore e mai aveva amato una donna e le spiegava che ora per lei provava orrore e meraviglia.
Ecco il lacerto in cui Pavese confessa e manifesta il suo tormento e il suo amore per Connie:
“…Il pensiero di te e un ricordo o un’idea indegni, brutti, non s’accordano. Ti amo. Cara Connie, di questa parola so tutto il peso – l’orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me…” (Da C. Pavese Vita attraverso le lettere. Ed. Einaudi pag. 237). Pavese in questo periodo soffrì molto sia per l’impotenza di cui soffriva, segreto agli altri, sia perché vide sfumare l’amore tanto desiderato ed agognato da una vita. Pavese per superare questa ennesima delusione si aggrappò all’archetipo dell’amore e della morte espresso già da Leopardi. Pavese riportò questa identificazione tra amore e morte il 13 maggio del 1950 nel diario: “Amore e morte – questo è un archetipo ancestrale” (da Il mestiere di vivere, ed. Einaudi pag. 396). Pavese identifica l’amore e la morte nella famosa poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Io, Biagio Carrubba, penso che la silloge si possa tranquillamente paragonare al famoso “Ciclo di Aspasia” di Leopardi. Credo che anche la raccolta poetica per Connie si possa definire “Ciclo per Connie”. Io, Biagio Carrubba, credo che si possa costruire un parallelismo tra questi due poeti e tra il Ciclo di Aspasia e il ciclo di Connie perché i due grandi poeti avevano delle cose in comune anche se vissero in epoche storiche diverse. Leopardi scrisse “IL CICLO DI ASPASIA” dopo la prolungata e sfortunata frequentazione con la signora Fanny Targioni Tozzetti per la quale provò una tenerissima attrazione affettiva e sessuale. Anche Pavese scrisse il Ciclo di Connie dopo la breve frequentazione con l’attrice americana per la quale provò una fortissima attrazione affettiva e sessuale. Ma entrambi i poeti soffrivano di impotenza: Leopardi confessò questo handicap nello scritto “Storia di un’anima” mentre Pavese lo confessò nel suo diario il 9 marzo del 1950. Leopardi scrisse: “L’animo mio, consumata già, non solo la giovinezza, ma eziandio la virilità, è scosso anche molto avanti nella vecchiaia” (da Storia di un’anima – scritta da Giulio Rivalta – pubblicata dal conte Giacomo Leopardi – tratto da Giacomo Leopardi – Canti – Newton & Compton Editori – Pag. 310). Pavese scrisse: “Ma perché non ho osato lunedì? Paura? Paura del “13 venerdì”, paura della mia impotenza? È un passo terribile” (da Il mestiere di vivere pag. 392). Entrambi i poeti furono affetti da questo handicap, nascosto e segreto agli altri. Leopardi non provò mai la gioia del sesso e dell’amore e anche Pavese non provò mai né il sesso né l’amore di una donna. Entrambi si rifugiarono nell’archetipo di amore e morte, già scoperto da Leopardi. Entrambi soffrirono per la mancanza di un amore e di una donna. Essi offrirono a due donne il loro amore, ingenuo e pudico, ma entrambe le donne, per motivi diversi ed in tempi storici diversi, non accettarono questa offerta mettendo i due poeti in una situazione di prostrazione. Ma i due poeti seppero trasfondere il dolore e la sofferenza nella bellezza dei due cicli poetici: il “CICLO DI ASPASIA” e il “CICLO DI CONNIE”. Le due opere sono due sillogi poetiche che, nate dalla mancanza di amore, esprimono il dolore e il rammarico dei due poeti. Si può dire che la frustrazione dei due poeti ha dato inizio ai due cicli. Sia le annotazioni sul diario, che le lettere, che le poesie dei due poeti esprimono “l’orrore e la meraviglia” per Pavese e l’amore non corrisposto per Leopardi. Però entrambi i poeti ci hanno toccato il cuore con le loro poesie e ci hanno emozionato profondamente facendoci vibrare sentimenti estetici intensi ed inconsci e facendoci riflettere sulla loro condizione di poeti sfortunati e frustrati, ma che rimangono, per queste loro opere poetiche, dei poeti immortali, perché un grande poeta è al di sopra del sesso e sublima i suoi desideri sessuali in auliche, trascinanti e affascinanti immagini poetiche. E in ciò consiste la bellezza della poesia.
Modica, 04/ 10/ 2018 Prof. Biagio Carrubba.
Modica, rivisto e riordinato il 06 giugno 2023.

Modica, 12 giugno 2023 Prof. Biagio Carrubba
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